Ci sono luoghi che sembrano sicuri, quartieri dove pensi che non possa capitarti nulla di male.
Un hotel in centro, la piazza più iconica della città, una strada costellata di locali.
Luoghi solo all’apparenza tranquilli, dove in realtà, il pericolo è dietro l’angolo.
Quello stesso pericolo, che spesso, può nascondersi anche tra le mura domestiche.
Dimenticate Times Square per come la conoscete. Dimenticate l’atmosfera di festa, allegria e adrenalina. I ristoranti, i negozi, le mille attrazioni: mettete da parte per qualche minuto quella sensazione incredibile che vi assale ogni volta che mettete piede (fisicamente o virtualmente) in uno dei luoghi più famosi al mondo.
Facciamo un salto indietro nel passato: siamo negli anni Settanta, il crollo economico mondiale ha investito anche gli Stati Uniti e proprio a New York, a Times Square, si assiste a un esodo di massa di aziende, molti negozi chiudono, le affissioni pubblicitarie si oscurano, la zona tra la 42nd e l’Eight Avenue precipita nel suo periodo più buio.
Times Square non è il luogo iconico e sfarzoso che siamo abituati a conoscere, ma un covo di criminalità, popolato da indigenti, tossici, sex workers e individui pericolosi.
Da questo momento e per decenni, Times Square diventa irrimediabilmente l’epicentro di crimini sessuali, costellata da luoghi di perdizione, tra locali a luci rosse, peep show, sexy shop e cinema porno.
Il quartiere trasuda il peggio dell’umanità di quel contesto socio culturale: gli uomini si aggirano come veri predatori, a caccia di prostitute e avventure sessuali a basso costo o gratis, ricorrendo molto spesso anche alla violenza per ottenere ciò che bramano. Il cuore di Manhattan è infetto, la criminalità regna sovrana, il marcio è ovunque e nessuna donna, sex worker o meno, in quella zona è al sicuro.
The Deuce, Il Diavolo, così era soprannominata all’epoca il quartiere della 42esima, una sorta di zona franca del sesso a pagamento e non.
Una zona vietata a chiunque tenesse alla propria incolumità che tornò a essere zona “consigliata” soltanto molti anni dopo, quando l’impegno di Rudolph Giuliani si focalizzò sul rimuovere cinema porno e peep show, aumentare le pattuglie di poliziotti nella zona e incentivare l’apertura di negozi e ristoranti di grandi catene.
Ma questa è un’altra epoca e decisamente un’altra storia.
Sul finire degli Settanta alcuni atti di violenza apparentemente casuali, sconvolsero alcuni detective della squadra omicidi di New York: tutto iniziò con i vigili del fuoco che risposero a una chiamata in uno squallido hotel nel cuore di Times Square, nel dicembre del 1979.
Ciò che scoprirono si rivelò scioccante: un cadavere mutilato, impossibile da identificare, torturato e abbandonato nella stanza di quello hotel. La vicenda fece scattare la caccia al serial killer che, a quanto pare, prendeva di mira le lavoratrici del sesso della zona, in un’epoca in cui quell’area tutto era possibile e – la maggior parte delle volte – rimaneva impunito.
Il killer di Times Square, di cui ora non vi riveleremo l’identità, è il protagonista della seconda stagione di Sulla Scena del Crimine, l’acclamata docuserie disponibile su Netflix, che esamina i modi in cui certi luoghi favoriscono l’attività criminale (come vedremo tra poco, avvenne lo stesso con la stagione 1).
Regista di questa serie in tre parti che porta il pubblico al centro delle indagini, è il regista premio Emmy candidato agli Oscar Joe Berlinger, già dietro la macchina da presa nella prima stagione.
In un susseguirsi serrato di archivio e fiction, la docuserie mostra in dettaglio le forze sociali e sistemiche a cui era soggetto il cuore di Manhattan: tanti i personaggi coinvolti per completare il quadro dell’epoca, dagli abitanti di Times Square ai poliziotti di quartiere, fino alla figlia del sedicente “re del porno” di New York, Martin Hodas che iniziò a mettere piede nella zona installando una macchina per peep show in una libreria a Times Square, che diventò un successo immediato e che gli fruttò 30mila dollari in una settimana.
Attraverso la testimonianza di Jennifer Weiss, la figlia di una delle vittime, la serie sottolinea gli sforzi da lei fatti per identificare altre donne rimaste senza nome, scomparse in luoghi e tempi infami e ormai dimenticati.
“The Torso Killer“, questo il nome del serial killer di Times Square, perché il più delle volte appunto mutilava il corpo delle sue vittime lasciandone intatto il loro busto: ritenuto colpevole di un totale di cinque omicidi, è stato condannato nel New Jersey a 60-95 anni di carcere più ulteriori 75 anni a New York.
Le sue vittime erano donne il più delle volte in difficoltà, costrette a lavorare nel mondo del sesso a pagamento per poter sopravvivere, mantenere figli o parenti.
Donne dimenticate dalla maggior parte della società, a volte anche dai loro affetti più cari.
Delle Jane Doe “qualunque”, di cui nessuno, il killer pensava, avrebbe sentito la mancanza.
E allora la notte, a caccia nella zona più malfamata della città, cercava la sua Jane, da portare in qualche hotel qualunque, anonimo o a poco prezzo, per torturarla e ucciderla, senza pietà e senza guardarsi indietro.
Lasciamo ora New York e spostiamoci a Los Angeles, nel quartiere di Downtown per la precisione, un altro luogo infame per il crimine contemporaneo.
Anche in questo caso, la storia del quartiere è una storia di luci e ombre, un po’ come tutta Los Angeles. Una zona dove uomini e donne, ancora oggi, vivono nella miseria e nel degrado, a differenza di chi si muove tra lustrini e champagne. Una situazione inaccettabile in termini di disuguaglianza sociale, proprio nel cuore dell’industria dorata dei sogni, a poca distanza da Hollywood.
Salto nel passato, anche in questo, seppur in un lasso di tempo più breve rispetto alla nostra prima storia: siamo nel 2013, nella zona più centrale di L.A., Downtown appunto, dove sorge da quasi cento anni il Cecil Hotel, un albergo dozzinale, trascurato e inquietante dove spesso risiedono (abusivamente e non) gli homeless della zona, i reietti della società, prostitute e individui border line di qualsiasi tipo. Un luogo comunemente associato ad alcune delle attività criminali più famigerate della città, che negli anni ha fatto da sfondo a morti premature, ospitando in più di un’occasione, feroci serial killer. 700 stanze, dal 1927, un luogo che negli anni fu teatro di atti di criminalità spesso rimasti impuniti. Un vero e proprio hotel del terrore.
Proprio il Cecil Hotel è la meta della studentessa universitaria Elisa Lam, in vacanza dal Canada nella città del sole. Arrivata a L.A., Elisa, ragazza introversa e parecchio taciturna, iniziò a condividere con i followers del suo blog, alcuni dettagli della vacanza, fino all’improvvisa sparizione. La sua scomparsa accese la curiosità mediatica e mobilizzò una comunità globale di investigatori online desiderosi di risolvere il caso: la prima stagione di Sulla scena del crimine, racconta la storia di Elisa e offre un’analisi coinvolgente e agghiacciante su uno dei luoghi più loschi di Los Angeles.
Anche in questo caso, alla regia c’è Joe Berlinger, regista, produttore e fotografo, classe 1961, che iniziò la sua carriera nell’industria pubblicitaria per poi diventare un rinomato documentarista insieme all’ amico Bruce Sinofsky.
Lo stile di Berlinger è ben definito, tanto nei docufilm quanto nelle docuserie, titoli che negli anni si sono aggiudicati molteplici premi: il suo stile è unico nel realizzare cinema-verità, senza narrazione superflua né effetti cinematografici di troppo.
Le sue docuserie spiccano per la rigorosità del racconto, l’utilizzo di molteplici fonti e un’attenzione accurata al contesto e all’aspetto sociale.
Tra gli altri titoli del regista, vi suggeriamo anche la docuserie Conversazioni con un killer: Il caso Ted Bundy, 4 episodi da un’ora circa ciascuna su uno dei serial killer più famosi degli Stati Uniti, disponibile sempre su Netflix.
In alternativa Confronting a Serial Killer su STARZPLAY: questa docuserie racconta la storia della relazione tra la giornalista Jillian Lauren e il serial killer più efferato della storia americana, Sam Little, e la corsa contro il tempo dell’autrice per identificare le vittime.