La storia purtroppo lo insegna, se un uomo tradisce, il tradimento viene definito come una scappatella e lui guadagna il titolo di dongiovanni (come se fosse un merito); se una donna tradisce, nessuno le toglie più la lettera scarlatta cucita addosso. Se la donna in questione ha anche dei figli poi, non solo è una poco di buono, ma smette anche di essere una brava madre.
Così accade a Suzie Pickles (una superba Billie Piper), come abbiamo visto nella prima stagione di I Hate Suzie, la serie che la vede protagonista. Non importa che tu abbia tradito perché innamorata, infatuata, o che in qualche modo tu abbia avuto le tue ragioni: sei una donna, se tradisci ti trasformi automaticamente in un essere spregevole e tutti, ma proprio tutti, si sentono in diritto di giudicarti, affibbiarti i peggiori epiteti, metterti alla pubblica gogna. E se sei una persona comune, le cose prima o poi magari verranno dimenticate (anche se non da tutti), se invece sei famosa, in quel caso purtroppo non funziona così, e sarai per sempre sulla bocca di tutti.
Suzie Pickles è una flaky girl (scopri di più qui) una donna fragile, irrisolta e totalmente incasinata.
È spesso sconsiderata, emotivamente instabile, insicura, terrorizzata da ciò che le persone pensano di lei.
Assomiglia a tante celebrities che negli anni abbiamo visto precipitare vertiginosamente dalle stelle alle stalle seguendo le vicissitudini del loro public meltdown sui social network o sui tabloid. La sua storia non è così lontana dalla realtà e nella seconda stagione (I Hate Suzie Too) molto più che nella prima, questo emerge in maniera molto evidente.
Vessata dal pubblico social, odiata dai benpensanti, messa sempre sotto pressione da agenti, stylist, assistenti. È accerchiata.
Non ha tregua Suzie, e quando il panico la assale, in silenzio, arretra in un angolo e prova – spesso inutilmente – a trarre un respiro di sollievo. Un sollievo che sembra non arrivare mai.
Le sue fragilità vengono messe a nudo, così come i controsensi che quotidianamente guidano le scelte e le azioni che compie. Sbaglia, cade, sbaglia di nuovo e non impara mai.
Cosa c’è di più vicino alla vita di tutti i giorni?
È una donna e una madre, ma non smette di essere anche quella ragazza di vent’anni che ha scelto di interrompere una gravidanza per vivere LA vita da star e non vivere di rimorsi.
E oggi, tanti anni, mariti e figli dopo, Suzie si ritrova di nuovo sola ad affrontare un aborto che nel primo episodio ci viene sbattuto in faccia con coraggio, senza scrupoli né peli sulla lingua. Un tema pesante, difficile, trattato con feroce ironia e humor nero, ma senza giri di parole: poche immagini, crude, realistiche, visivamente potentissime (che richiamano fortemente lo stile di I May Destroy You).
L’apparente leggerezza con cui Suzie sembra affrontare la cosa, in realtà nasconde molto di più, perché aggrava un malessere interiore seppellito sotto anni di esperienze, errori, nuovi inizi e altri sbagli. Perché ogni volta che Suzie commette uno sbaglio, da fuori può sembrare integra e sicura, ma dentro, nel profondo, un pezzo di lei se ne va. E quel che ne rimane è un involucro fragilissimo che rimane in piedi a stento e il finale della stagione – che non spoilererò – lo rappresenta in maniera eccellente.
Una stagione che non trascura i personaggi comprimari, ma che prova a portarne in luce altrettante fragilità, perché in fondo il mondo di Suzie, le persone di cui si circonda, non sono così diverse da lei. Hanno tutte una battaglia personale da affrontare, a partire dall’ormai ex marito Cob (il bravissimo Daniel Ings), passivo aggressivo per eccellenza, ora passato all’attacco.
Ferito nell’orgoglio e pronto a tutto pur di difendere la sua dignità, dichiara guerra a Suzie, deciso a toglierle sempre più tempo con il figlio Frank, l’unica ancora di salvezza a cui la donna può aggrapparsi. Un maschio alfa tradito e mortificato, che ricorre allo slut shaming pubblico per poi tornare sui suoi passi, altrettanto confuso e irrisolto come la sua ex moglie.
Accanto a loro, a fare da collante, o almeno a provarci, la migliore amica ed ex agente di Suzie, Naomi (Leila Farzad), che di battaglia ne sta vivendo una enorme. Quarantenne single, Naomi ha deciso di mettere al mondo un figlio, intraprendendo quella che lei stessa definisce una “maratona”, ovvero la dura strada della fecondazione assistita. Un tema che poche serie fino a oggi hanno affrontato e le poche che lo hanno fatto, sono riuscite probabilmente a far sentire meno sole tutte quelle donne che quella battaglia la stanno portando avanti da anni: Master of None, And Just Like That, Trying sono tre delle serie tv che di recente hanno raccontato – chi più, chi meno – tematiche legate a una maternità diversa da quella a cui siamo abituati, una maternità negata, sfumata, sperata, lontanissima dal concetto socialmente comune legato invece a quello della donna-madre per definizione.
La forza di I Hate Suzie è proprio qui: è una serie coraggiosa, irriverente, estremamente contemporanea e dalla parte delle donne. Di quelle donne che si vergognano delle scelte compiute, che si sentono inferiori alle altre, perché hanno tradito o sono state tradite, perché hanno deciso di porre fine a una gravidanza o una gravidanza non riescono a raggiungerla.
Donne che troppo spesso cambiano il colore dei propri capelli nel tentativo, quasi disperato, di cambiare loro stesse.
Donne comuni, donne imperfette e forti, nonostante tutto, delle loro fragilità.