Everything Now: Mia attraverso lo specchio

“I vestiti, per me, servono solo a nascondere, ma un appuntamento significa mostrarsi, farsi vedere. La gente crede che un’anoressica voglia solo essere bella, voglia solo essere magra e pensa che sia la stessa cosa, ma non importa quanto io sia magra, se mi sento sempre così sbagliata. C’è qualcosa che mi manca, ed è qualcosa che va ben oltre avere mani delicate, un bel portamento ed estrogeni, tu sei fallata Mia, la tua femminilità è fallata, Mia, devi aver saltato la lezione su come essere una ragazza, una vera ragazza”.

Mia Polanco si sente fuori luogo, diversa, strana. Ha paura degli specchi, del contatto fisico, del giudizio di sé stessa e degli altri. “You are incorrect Mia”, si ripete quando si guarda riflessa.
Sei femminile nel modo sbagliato”.

Mia Polanco soffre di disformismo corporeo, un disturbo legato all’ansia, un’ossessione verso i difetti soggettivi percepiti che è sfociato in anoressia. Dopo sette mesi in clinica, torna a casa e a scuola, e cerca di riprendere la sua routine, dapprima con ironia (stilando una bucket list delle cose da fare per essere “uguale” agli altri), poi con disperazione. Cerca l’amore, Mia, l’approvazione altrui, di sua madre in primis, dei suoi amici – che sembrano essere andati avanti senza di lei – poi.
Il suo corpo sembra essere guarito, ma la sua mente no.
Mangia una banana, e si sente piena.
Si specchia e pensa a quando la malattia, solo pochi mesi prima, le aveva distrutto la pelle, le unghie e i capelli.
Ma il cibo continua a disgustarla, lei continua a detestarsi, e in questo circolo vizioso di ansia, paura e paranoia, la vita reale non fa che peggiorare le cose.
Non ha mai fatto sesso, non si fida più dei suoi amici, sua madre la trascura, suo padre la soffoca, Londra le sembra casa ma ha paura di compiere ogni singolo passo di ogni singola giornata. 

Quella di Mia è una storia di formazione (coming of age), di crescita: è una serie sugli adolescenti, queer, in bilico costante tra dramma e commedia.

Ph: courtesy of Netflix

Everything Now, ovvero “tutto adesso”: è il desiderio di Mia di rimettere insieme i pezzi della sua vita sbriciolata, ripartendo nel miglior modo possibile. Ma proprio la fretta, la smania di sentirsi “come gli altri”, è il suo peggior nemico. 

È una storia sincera, quella di Mia, senza fronzoli: è lo specchio di un’età irrequieta, indomabile, a volte soffocante. 

La serie è lineare, perfetta nel suo genere – il drama adolescenziale – coraggiosa nei temi affrontati, priva dei consueti stereotipi che contraddistinguono titoli simili. Alcune scelte nella narrazione sono concrete e realistiche (quelle sulla malattia, per esempio) altre sono troppo all’acqua di rose (sarebbe bello un mondo dove tutti gli adolescenti amano incondizionatamente chi vogliono senza essere giudicati, ma non è così). 

Amore, libertà, felicità, salute mentale: Everything Now ci mette di fronte a una realtà che magari non è la nostra, ma che è giusto conoscere e provare a capire.
La storia è quella di Mia, interpretata da una straordinaria Sophie Wilde (Talk To Me), ma è anche quella dei personaggi comprimari, ognuno con la propria battaglia adolescenziale da combattere ogni giorno. Se vogliamo è un teen drama alquanto ordinario, ma è coraggioso e a tratti ha fini quasi divulgativi.
Chi ha paragonato questa serie a Euphoria probabilmente non ha mai visto Euphoria (si scherza, eh!), perché Everything Now non è esplicita, non è distruptive, né invadente.
Non è una serie irriverente o fuori dagli schemi, è la storia semplice e sincera di una malattia di cui si parla poco e di una male di vivere che spesso, se non viene fermato in tempo, finisce nel peggiore dei modi. 

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