“Fleabag” è una trentenne londinese single e solitaria, sull’orlo della bancarotta, nel disperato tentativo di mandare avanti un minuscolo caffè di sua proprietà (dedicato ai porcellini d’India).
È egoista, avara, cinica e perversa, ed è circondata da una famiglia disfunzionale: sua madre, morta di cancro, l’ha lasciata con una sorella frigida e maniaca del controllo e un padre incapace di dimostrare affetto, succube inoltre della nuova compagna, un’artista snob e ninfomane.
La protagonista è la classica “antieroina” dai discutibili atteggiamenti morali: la sua arma per combattere la solitudine è il sesso, quasi mai soddisfacente e spesso catastrofico, tra chi soffre di eiaculazione precoce, chi d’impotenza e così via.
Colleziona flirt con uomini poco brillanti, credendo di usarli a suo piacimento, finendo invece ogni volta per essere usata e messa da parte senza troppi convenevoli.
In questo modo prova a colmare il suo vuoto interiore con innumerevoli e insensate avventure sessuali di una notte o poco più, nonostante l’unico rimedio capace di soddisfarla sul serio sia quello di masturbarsi guardando video di Obama su YouTube.
In realtà però, sotto Fleabag c’è molto di più: le ferite e le psicosi di questa trentenne sono radicate ben più nel profondo, nascoste sotto un segreto inizialmente inconfessabile, che ci viene raccontato con l’avanzare degli episodi.
Il suo “vizietto” con gli uomini infatti, poco tempo prima, è degenerato in tragedia, facendole commettere un errore da cui non poter più tornare indietro, portandole via l’unica persona a lei davvero cara, in maniera irreversibile.
Fleabag è il potente ritratto della vita della protagonista, tra il profondo dolore e il rimorso di aver commesso uno sbaglio insanabile che l’ha condotta a una grave perdita, impossibile da colmare o da lasciarsi alle spalle.
La sua è una vita spezzata, che neanche con chili di colla potrebbe essere rimessa a posto.
La protagonista è un’anima alla deriva con il disperato e urgente bisogno di essere ascoltata e capita, ed è per questo che nel corso della serie si rivolge continuamente alla telecamera, commentando con il pubblico la propria vita in tempo reale, rompendo prepotentemente la quarta parete, più di quanto sappia fare Frank Underwood.
Guarda verso il pubblico e la cinepresa senza sosta, a volte commentando, altre senza neanche aprire bocca, limitandosi a uno sbuffo, uno sguardo stupito, un far spallucce, gesti silenziosi ma altrettanto efficaci.
Fleabag è una sadcom, che conduce lo spettatore sul sottile confine che separa il dramma dalla commedia.
Si ride, si riflette, si finisce ogni episodio (soprattutto i tre finali) con un amaro in bocca davvero difficile da mandar giù.
La serie è scritta e interpretata dall’attrice teatrale Phoebe Waller-Bridge, classe 1985, uscita dalla Royal Academy of Dramatic Art, co-direttrice di una piccola compagnia teatrale e sceneggiatrice. Dopo essere apparsa nella serie Broadchurch, al fianco di David Tennant, ha scritto due sitcom, Crashing per Channel 4 e Fleabag per BBC Three.
Viste tutte queste premesse, il paragone tra la Waller-Bridge e Fleabag, e Lena Dunham e la sua Hannah Horvath in Girls è inevitabile.
Entrambe voce di una generazione, entrambe ragazze prodigio per certi versi, raccontano senza mezzi termini, vizi, difetti e debolezze dei loro coetanei, le idiosincrasie nei confronti del mondo e l’insofferenza a indossare maschere socialmente corrette per evitare di rimanere troppo isolate.
Phoebe in una recente intervista, si è definita “una femminista imperfetta” appellativo non troppo distante da quello con cui molti dipingono la Dunham.
Per quanto però esistano delle somiglianze tra le due attrici e sceneggiatrici, le differenze tra i loro personaggi non sono da meno.
Dirette e crude entrambe, mentre in Girls, Hannah vive in uno stato di perenne ansia cronica che la porta a controllare ogni minimo dettaglio per illudersi di avere quello stesso controllo anche sulla propria esistenza, Fleabag si lascia trascinare dagli eventi senza mai esporsi o prendere decisioni significative.
Hannah è viziata e capricciosa, melodrammatica fino allo sfinimento e priva di problemi reali se paragonata a Fleabag, molto più problematica e incasinata.
Se Phoebe Waller-Bridge è davvero la Lena Dunham britannica, lo è in maniera più matura nella scrittura (nonostante sia più giovane), meno esposta e meno plateale rispetto alla sceneggiatrice americana.
La sua Fleabag è molto più vicina alle trentenni di oggi, spaventate da ciò che il futuro ha in serbo per loro, impotenti di fronte ai troppi errori commessi, ma consapevoli delle proprie debolezze e pronte a recuperare, perché sbagliare è umano, si sa, e come recita la protagonista nel finale di stagione: “le persone fanno errori continuamente, ed è il motivo per cui mettono le gomme da cancellare in fondo alle matite”.