In questi giorni si sta parlando moltissimo di Novak Djokovic e dell’Australia, soprattutto di un luogo, il Park Hotel di cui in Italia sappiamo poco. Così come sappiamo pochissimo di come funzioni il sistema di immigrazione australiano, al centro di una serie tv disponibile su Netflix.
Novak Djokovic e il Park Hotel: cos’è successo?
Il tennista Novak Djokovic e gli Australian Open sono il caso mediatico e sportivo di questi giorni: il campione serbo, dichiaratamente no vax, dopo il suo controverso arrivo nel Paese e l’iniziale stop da parte delle autorità di frontiera che hanno contestato la sua esenzione medica dal vaccino contro il Covid-19, ha in seguito ricevuto il verdetto della Corte federale di Melbourne che gli ha restituito il visto.
Mentre aspettava di sapere (a oggi gli è stato annullato per la seconda volta il visto) se avrebbe potuto partecipare o meno agli Australian Open, ha “alloggiato” al Park Hotel, un edificio di quattro piani nel centro di Melbourne che da anni ospita rifugiati e richiedenti asilo bloccati bloccati dal sistema di immigrazione australiano, ma di cui soltanto oggi, in virtù del caso Djokovic, finalmente si sente parlare, e di cui vogliamo appunto parlarvi in questo approfondimento di “Storie di Serie“, una nuova rubrica di Giorgia Di Stefano qui su TV Tips.
L’Australia e un sistema di immigrazione che non fa sconti a nessuno
“Il Park Hotel australiano è diventato per alcuni giorni il luogo di incrocio tra la storia di una persona fortunata e quelle di altre persone vittime di persecuzione e tortura che sono rimaste bloccate in quell’albergo. Gli altri ‘ospiti’ non hanno mai avuto la possibilità di fare ricorso che ha avuto Djokovic” con queste parole, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha commentato così l’ormai nota vicenda della superstar del tennis.
“La politica migratoria dell’Australia è crudele. Ci sono oltre mille centri alternativi di detenzione in tutta l’Australia. L’auspicio è che il fatto che il numero uno al mondo sia finito in quel posto porti un po’ di attenzione”
Una prigione a tutti gli effetti, dove i rifugiati e i richiedenti asilo non possono uscire dalla propria stanza se non per l’ora d’aria, vivono in condizioni igieniche pessime e pericolose, e ricevono scarsissime attenzioni da parte delle autorità.
Alcuni di loro “soggiornano” lì letteralmente da anni, prigionieri della folle politica sull’immigrazione australiana, contestata da molti per il respingimento di tutte le persone che provano a raggiungere illegalmente l’Australia, non importa quali siano le loro storie personali o la loro provenienza: non si fanno sconti a nessuno.
Il destino dei richiedenti asilo è stato per anni quello di finire su isole limbo, messi in condizioni ai limiti della sopravvivenza, con l’obiettivo di convincerli a ripartire per il loro paese.
Una prigione senza via d’uscita
Durante la pandemia, il Park Hotel fu il principale focolaio di Covid-19 che costrinse l’Australia a nove mesi di lockdown.
Un carcere dove immigrati e rifugiati rimangono anche per anni, senza via d’uscita, senza che il Governo muova qualche passo nei loro confronti per dargli una speranza di vita e libertà. Incendi, insetti nel cibo e nelle stanze: chi può prova a denunciare come può ciò che accade, come nel caso di Mehdi Ali, ventiquattrenne da mesi detenuto nella struttura dalle autorità australiane, che a fine dicembre pubblicò sul proprio profilo Twitter un’immagine scioccante.
Bloccati al confine: i richiedenti asilo in Stateless
Le condizioni di centri di detenzione come il Park Hotel, sono raccontate da diverse inchieste giornalistiche da anni, soprattutto oltre oceano, da vari report delle ONG e, nel 2020, anche da una serie tv australiana creata per la ABC locale ma distribuita da Netflix, Stateless, di cui vogliamo parlarvi oggi in “Storie di Serie“.
Miniserie in 6 puntate creata e prodotta da Cate Blanchett, Tony Ayres ed Elise McCredie, racconta una storia vera di detenzione illegale in Australia, quella di Cornelia Rau, nata in Germania, con un permesso di soggiorno in Australia e affetta da schizofrenia. Il suo dramma incontra quello di altri quattro sconosciuti nel centro di detenzione, nel mezzo del deserto australiano.
Chi è Cornelia Rau, a cui si ispira Stateless
La serie si ispira appunto alla storia vera di Cornelia Rau, incarcerata illegalmente per un periodo di dieci mesi fra il 2004 e il 2005 e che trovate ampiamente spiegata in questo splendido articolo del The Sun.
Quello che accadde, in sintesi, fu questo: fuggita nel 2004 dall’ospedale psichiatrico nel quale era ricoverata, venne portata ingiustamente dalla polizia in un centro di detenzione e ci rimase per diverso tempo.
La verità emerse grazie anche a un reportage giornalistico e all’avvio di un’inchiesta governativa che portò alla luce oltre 200 casi di detenzione illegale.
Stateless: i punti di forza della serie e perché vederla
A prestare il volto a Cornelia, nella serie, la bravissima Yvonne Strahovski, protagonista di serie tv di successo come Chuck e The Handmaid’s Tale e qui in una performance attoriale drammatica sublime.
Stateless è una serie molto potente e impegnativa, che merita di essere vista con grande concentrazione per coglierne ogni dettaglio e riflettere su ciò che accade laddove non ce lo aspetteremo mai.
Una serie perfettamente capace di portare alla luce cosa succede in questi centri detentivi sempre più simili alle carceri (come affermato anche dall’Australian Human Rights Commission) e di raccontare quanto le minoranze etniche siano vittime di soprusi da parte del Governo australiano.
Nel cast di questa miniserie recitano anche Dominic West (The Wire, The Affair) e la due volte premio Oscar Cate Blanchett (Blue Jasmine). E ancora, Fayssal Bazzi(Top of the Lake), nei panni di Ameer, rifugiato di origini afgane, Jai Courtney (Suicide Squad), in quelli di Cam Sandford e Asher Keddie.