Non sempre tre indizi non costituiscono una prova.
Anche un omicida all’apparenza indifendibile, può essere innocente.
Scavare a fondo per scoprire la verità, può rivelarsi spesso una minaccia, talvolta una salvezza.
Tutto questo lo sa bene John Stone, avvocato newyorkese borderline e misantropo.
Uomo di mezza età solitario, divorziato e con un figlio che a malapena gli rivolge la parola; un uomo quasi dimenticato da tutti, che sceglie di sua volontà di circondarsi di prostitute anaffettive che gli facciano compagnia, e dottori di qualsiasi tipo alla disperata ricerca di una cura per il disturbo che lo affligge da anni: un eczema diffuso su tutto il corpo. L’individuo John Stone non è così troppo diverso dall’avvocato che è, che lavora mantenendo un basso profilo, occupandosi perlopiù di casi sociali limite e piccoli criminali da difendere in tribunale e a cui spillare poche centinaia di dollari, a volte anche meno.
Oppresso dalla ex moglie, vessato dai colleghi e risucchiato dalla società in cui, suo malgrado, è costretto a vivere, John se ne sta lì, nel suo appartamento a Manhattan, tra veloci avventure “prostitute&viagra”, notiziari in cui adocchiare il prossimo pollo da spennare, pomate e unguenti per guarire i rush cutanei, e musica italiana a tutto volume, da quella classica a capolavori d’altri tempi cantati a pieni polmoni da Mina e Gigliola Cinquetti.
È una notte d‘autunno, scura, cupa, fredda, quella in cui, mentre si aggira come d’abitudine nel distretto di polizia della zona, per accaparrarsi clienti, John incrocia uno sguardo che non lo lascerà indifferente, quello di Nazir “Naz” Khan.
Due occhi castani sgranati e tremanti, con le pupille dilatate: due occhi che difficilmente possono non destare la sensibilità di uomini come John, molto più umani ed empatici di altri, nonostante le apparenza.
Naz, studente universitario di origini pakistane, figlio di immigrati insediati da anni nel Queens, a Jackson Heights, se ne sta nella sua cella, dentro la tuta azzurra, i capelli folti scompigliati, e le mani che tremano.
A differenza di altri, non si lascia sconvolgere più di tanto dall’aspetto bizzarro di Stone, impermeabile lungo, maglione infeltrito e sandali aperti per lasciar prendere aria ai piedi, il punto del corpo maggiormente colpito dall’eczema.
Si crea subito empatia tra i due, un’empatia inspiegabile se vogliamo, dettata principalmente dall’esperienza sul campo di John e dalla totale confusione di cui è preda il ragazzo, accusato di omicidio.
Ciò che nasce in questa notte, è un rapporto confuso a tratti, a volte complicato, altre talmente sincero da ferire profondamente, come solo la verità sa fare.
Un rapporto che se in alcuni momenti rasenta quello tra padre e figlio, in altri non si schioda neppure con una cannonata da quello tra avvocato e cliente.
Un legame a prima vista privo di affetto, ma in verità profondo in maniera del tutto inaspettata che gioverà a tutti e due: perché a prescindere da come finirà, la storia di quella notte cambierà per sempre la vita a entrambi, risvegliando lati del carattere che fino a quel momento, ciascuno credeva seppelliti chissà dove.
Prima di essere una storia di omicidio, quella vissuta da Jack e Naz, è una storia sociale: una realtà come tante, che però anziché restare nascosta in una breaking news alla tv o in un trafiletto dei giornali locali, viene violentemente a galla e finisce sulla bocca di tutti, cittadini, stampa, opinione pubblica.
Una storia di diversità e pregiudizi, di qualunquismi e preconcetti.
Una vicenda simile a tante altre, soprattutto in una metropoli come New York, dove razzismo, microcriminalità e abusi sono all’ordine del giorno.
“Cosa puoi fare quando non puoi avere la certezza della verità?”
Rassegnarti, senza arrenderti.
Provarci, sapendo che fallirai, ma provarci ugualmente, con la consapevolezza che forse dovrai accettare dei compromessi strada facendo.
Questo, e tanto altro in The Night Of, miniserie HBO in otto episodi, in onda da venerdì 25 novembre alle 21.15 su Sky Atlantic, a prendere il posto lasciato vuoto da Sorrentino e dal suo discusso The Young Pope.
La serie, ispirata al romanzo inglese Criminal Justice di Peter Moffat, è scritta e diretta da Steve Zaillan, premio Oscar per la sceneggiatura non originale in Schindler’s List, con alla “penna” , in alcuni episodi, Richard Price, autore crime che vanta collaborazioni con Martin Scorsese e Spike Lee.
Un grande prodotto per il piccolo schermo: definire questa serie semplicemente “thriller” sarebbe davvero riduttivo.
lI pilot di The Night Of non ha nulla da invidiare a prodotti cinematografici di altissimo livello, e potrebbe essere esso stesso un film di un’ora e un quarto con un finale aperto.
Lo stile registico mantenuto nell’arco di tutti e otto gli episodi sfiora la perfezione, e raggiunge, in alcune inquadrature, una ricercatezza estetica introvabile in altre serie.
E tutto funziona come nelle migliori orchestre sinfoniche in questo show, perché alla regia d’autore, si accompagnano sceneggiatura e dialoghi armoniosi, fotografia e colonna sonora studiate in ogni minimo dettaglio, e un cast che molti produttori sognano di notte.
A sorprendere è sì Riz Ahmed nei panni di Naz, che all’alba dei suoi 34 anni resta ancora sconosciuto nonostante piccoli ruoli al cinema e in tv, e la sua bravura in questa serie, ma la verità, innegabile, è che The Night Of senza di lui, senza John Turturro nei panni di Stone, non sarebbe quel capolavoro che è.
Perché diciamocelo: questo show è la novità migliore dell’anno, un gioiello, una serie imperdibile e di una qualità estrema.
E non so quale altro attore avrebbe saputo interpretare un personaggio atipico e controverso come quello di Stone in maniera magistrale come Turturro.
Perché in fondo è tutto lì, racchiuso in quei pochi minuti che ci raccontano il legame tra quest’avvocato misantropo e un gatto randagio che tanto lo fa stare male, ma di cui non riesce a fare a meno.
Di cosa sto parlando?
Guardate The Night Of, lo capirete da soli.